Alcuni cenni sull’ordine di reintegrazione sul posto di lavoro.

Si vuole oggi verificare quali obblighi debba assolvere il datore di lavoro e il lavoratore a seguito della condanna dell’azienda alla reintegra del dipendente nel posto di lavoro.

La sentenza che ordina la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore licenziato produce l’effetto di ricostituire giuridicamente il rapporto di lavoro.

Il datore di lavoro dovrebbe adempiere all’ordine giudiziario di reintegrazione di sua spontanea volontà, anche perché, per consolidata dottrina e giurisprudenza, non si può costringere il datore di lavoro ad adempiere a un obbligo di fare infungibile.

Nonostante l’ordine di reintegrazione sia immediatamente esecutivo ex art. 18, comma 6, dello Statuto dei Lavoratori, è data ormai per scontata nella dottrina e nella giurisprudenza la assoluta difficoltà, se non l’inammissibilità o comunque l’improponibilità, dell’esecuzione in forma specifica dell’ordine di reintegra.

Nel nostro ordinamento l’esecuzione coatta degli obblighi di fare infungibili non può avvenire con la costrizione materiale del debitore ad adempiere; essa è possibile solo per surrogatoria, con l’adempimento da parte di un terzo e, quindi, solo nel caso in cui gli obblighi di fare siano fungigli.

Per quanto la mancata attuazione spontanea dell’ordine di reintegrazione rappresenti un disvalore sociale, non è possibile garantire l’effettiva esecuzione in forma specifica.

Dello stesso orientamento è la costante giurisprudenza di legittimità che rileva la necessità indispensabile ed insostituibile del comportamento attivo del datore di lavoro utile per concretizzare la reintegrazione del lavoratore.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione, secondo cui: “l’ordine di reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato non è suscettibile di esecuzione forzata in merito alla riammissione del lavoratore in azienda in quanto presume un comportamento attivo del datore di lavoro consistente, tra l'altro, nell'impartire al dipendente le opportune direttive, nell'ambito di una relazione di reciproca collaborazione”(Cass. 18 giugno 2012 n. 9965).

Se da una parte è vero che non si può costringere il datore di lavoro a reintegrare il lavoratore sul posto di lavoro, dall’altra parte il suo mancato adempimento farà derivare l’onere di corrispondere al lavoratore le retribuzioni ed il risarcimento del danno (Cfr. C Mandrioli, rivista di dirtto processuale, 1975; A. Protopisani, in Rivista Trim. Dir. e Proc. Civ.1978).

Ne consegue che in caso di mancata effettiva reintegra l’attenzione si dovrà spostare sulle forme di esecuzione indiretta.

Se il datore di lavoro non ottempera all’ordine di reintegra contenuto nella sentenza è tenuto comunque a corrispondere al lavoratore le retribuzioni globali di fatto dovutegli in virtù del rapporto di lavoro intercorrente dalla data del licenziamento annullato fino a quella dell’effettiva reintegrazione e, da quest’ultima data, sarà corrisposta la retribuzione che maturerà mensilmente.

Pertanto, fintanto che il lavoratore non ritorna nella sua posizione, tale retribuzione deve continuare ad essere versata, senza che il datore riceva in cambio un’effettiva prestazione lavorativa.

Se invece il datore di lavoro decide di ottemperare all’ordine del Giudice, invitando il lavoratore a rientrare sul posto di lavoro, trova applicazione la disciplina prevista dall’art. 2 del d.lgs. 23/2015,ai sensi di cui: “a seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità di cui al comma 3”.

Il succitato comma 3 stabilisce che: “fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al comma 2, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione”.

Avv. Emanuele Giungi

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