Come ottenere il pagamento degli alimenti da parte del coniuge dichiarato fallito

Durante una procedura fallimentare di una società di persone in cui i soci sono  illimitatamente responsabili, gli effetti del fallimento si riversano, oltre che sull’impresa, anche sulla persona fisica del socio, tanto che l’art. 147 l. fall. prevede «che  la sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili».

Gli artt. 42-49 del Regio Decreto del 16 marzo 1942, n. 267, aggiornato con le modifiche apportate dal D.Lgs. 54/2018, disciplina gli effetti del fallimento per il fallito. Tale decreto, grazie a una lettura costituzionale, fa in modo che il fallito conservi la titolarità e l’esercizio delle situazioni giuridiche esistenziali.

Tutto ciò, sebbene sia previsto, nel corso di una procedura fallimentare, il bilanciamento dell’interesse dei creditori al soddisfacimento del proprio credito con i diritti del debitore, quest’ultimo ha diritto per sé e per la sua famiglia della quota di reddito che realizzi i valori fondamentali della persona, come stabilito nella Costituzione agli artt. 1, 2, 4, 35 e 41 (Trib. Locri, 30/12/2012 in www.dejure.it).

L’art. 47 comma 1 della l. fall. prevede, infatti, che, se al fallito vengono a mancare i mezzi di sussistenza, il Giudice può concedergli, sentito il Curatore ed il Comitato dei Creditori, il sussidio a titolo di alimenti per lui e per la famiglia.

La giurisprudenza si divide sulla valutazione della natura del sussidio.

La giurisprudenza maggioritaria sostiene che il fallito non vanta un diritto soggettivo in quanto il sussidio alimentare è soggetto alla discrezionalità del giudice. Al fine di tale concessione è necessario un confronto tra l’interesse del fallito o della sua famiglia e quello dei creditori, tenendo conto dell’attivo. (Cass civ, sez. I, 14 marzo 2001, n. 3661; Cass civ, 14 agosto 1996, n. 7564). Tale orientamento si fonda sulla legge che riconosce una possibile concessione del Giudice e sul principio di regola per cui i beni non vanno distratti dalla massa attiva per fini estranei a quelli del procedimento concorsuale (P. G. Demarchi, Fallimento e altre procedure concorsuali: normative e giurisprudenza ragionata, Giuffrè, 2011, p. 231).

La parte minoritaria della giurisprudenza, invece, si oppone all’orientamento suddetto in ragione della possibilità del fallimento di minare le esigenze vitali del fallito e della sua famiglia, considerando dunque inammissibile affidare al giudice, al curatore e al comitato dei creditori la decisione relativa di tali esigenze. Si è perciò in presenza di una situazione giuridica tutelata dall’orientamento e, quindi, di un diritto soggettivo radicato nell’art. 2 della Costituzione (Cass, civ. sez I, 10 aprile 1999, n. 3518).

Alla fine della concessione del sussidio devono esistere due presupposti: il primo che al fallito, o alla sua famiglia, vengano a mancare i mezzi di sussistenza; il secondo che esistano nella massa attiva disponibilità economiche per effettuare il pagamento di sussidio.

Dott.ssa Giulia Sari

Trainee Lawyer

 

 

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