Il risarcimento del danno da diffamazione

Si vuole oggi affrontare la questione del diritto del danneggiato al risarcimento del danno a seguito di diffamazione.

Si rammenta brevemente che il reato di diffamazione è disciplinato dall’art. 595 c.p., che definisce la fattispecie come offesa, fuori dai casi dell’ ingiuria (art. 594), dell’altrui reputazione da parte di chiunque comunichi con più persone, punendo il reo con la reclusione fino ad un anno o la multa fino a €1.032,00. Sono previste delle aggravanti se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, se è commessa con il mezzo della stampa o qualsiasi altro mezzo di pubblicità o se l’offesa è recata nei confronti di un Corpo Politico, amministrativo o giudiziario. Gli elementi, dunque, integranti la fattispecie di reato sono: l’offesa all’altrui reputazione, l’assenza del terzo, la comunicazione tra due o più persone.

La vittima del reato può proporre querela nel termine di 90 giorni dal momento in cui viene a conoscenza della lesione ma, a prescindere dalla richiesta di condanna, può esperire un procedimento civile per far accertare di avere subito un danno e chiederne il risarcimento.

Il bene giuridico tutelato dall’art. 595 c.p. è la reputazione intendendosi incluso sia l’onore in senso oggettivo, sia l’onere in senso soggettivo: il primo inteso come la stima della comunità nei confronti della persona lesa, il secondo inteso come il sentimento di ognuno della propria dignità morale e dell’insieme di qualità che attribuisce a se stesso. In tale concetto è compresa anche la reputazione professionale che consiste nell’immagine che il soggetto ha costruito di sé all’interno della propria sfera lavorativa (E. Gregoraci, R. Cusmai, Lesione della reputazione professionale: risarcimento del danno non patrimoniale, in www.24oreavvocato.ilsole24ore.it, 2010, p. 38).

La reputazione non è un concetto statico, ma può variare a seconda dell’ambito sociale, politico, cultura in cui viene valutata la lesione subita dalla persona offesa; esso trova la propria disciplina nei principi costituzionali degli artt. 2 e 3 Cost. in quanto il diritto alla reputazione è un diritto soggettivo perfetto riconosciuto assieme a diritti quali la persona, l’immagine, l’onore, la riservatezza (E. Gregoraci, R. Cusmai, Lesione della reputazione professionale: risarcimento del danno non patrimoniale, cit.).

Dalla lesione della reputazione deriva un diritto al risarcimento del danno patrimoniale ex art. 2043 c.c. e del danno non patrimoniale exart. 2059 c.c., e ciò senza la prova dell’esistenza del danno se viene provato il fatto lesivo.  La prova della diffamazione può essere data per presunzioni posto che, «una volta dimostrata la lesione della reputazione personale il danno è in “re ipsa”, in quanto è costituito dalla diminuzione o privazione di un valore, benchè non patrimoniale, della persona umana», come è stato precisato dal Suprema Corte (Cass. civ. sez. III, 28/9/2012 n. 16543).

E ancora in diritto: “al fine di accertare se l’espressione utilizzata sia idonea a ledere il bene protetto dalla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 594 cod. pen., occorre fare riferimento ad un criterio di media convenzionale in rapporto alla personalità dell’offeso e dell’offensore nonché al contesto nel quale detta espressione sia stata pronunciata ed alla coscienza sociale” (Cass. Sez. V Pen. n. 14067/2014). Inoltre “integra il reato di diffamazione la condotta lesiva dell’identità personale, intesa come distorsione, alterazione, travisamento od offuscamento del patrimonio intellettuale, politico, religioso, sociale, ideologico o professionale dell’individuo o della persona giuridica quando viene realizzata mediante l’offesa della reputazione dei soggetti medesimi” (Cass. Pen. n. 37383/2011, in La Tribuna, RivistaPenale, 2013, 2, pg. 218 ed inIl Sole 24 Ore, Mass. Repertorio Lex24).

La quantificazione del danno subito per effetto della diffamazione è stato disciplinata dal Tribunale di Milano, il cui Osservatorio Civile ha individuato 5 gradi di diffamazione con la conseguente fascia di valore monetario.

Sotto questo profilo si segnala che potrebbe forse essere seguito anche il parametro descritto dal Tribunale di Prato nella liquidazione del risarcimento dei danni subiti per effetto delle offese pronunciate da un convenuto per l’attribuzione di un fatto determinato, ossia il triplo della multa (€ 2.082,00x3 + € 694,00 = € 6.940,00) prevista dalla norma che punisce il reato di ingiuria ex art. 594 c.p., con aumento di un terzo (Tribunale di Prato, Sent. N. 96/2011, in Diritto&Giustizia2011).

Ex art. 5 comma 1 bisd.lgs. 28/2010, la mediazione è obbligatoria nel caso di  diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità.

Nel  caso di  diffamazione verbale, invece, la materia oggetto del contendere rientra nella casistica della negoziazione assistita obbligatoria, ex art. 3 comma 1 d.l. 132/2014. La negoziazione è infatti obbligatoria se si presentano in giudizio domande di pagamento a qualsiasi titolo di somme non superiori a € 50.000,00, ad eccezione delle controversie per cui non è prevista la mediazione obbligatoria. Essa sarà condizione di procedibilità della domanda giudiziale e quest’ultima potrà essere proposta solo laddove l’invito ad aderire alla negoziazione non sia seguito da adesione, o sia seguito da rifiuto entro 30 giorni dalla sua ricezione, ovvero quando sia decorso il tempo dalle parti per la procedura di negoziazione.

La negoziazione assistita consiste in un accordo tra le parti, assistite dai propri legali, a cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole una controversia.

La procedura ha inizio con l’avvocato della parte attiva nel procedimento che invita la controparte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita.

L’invito dovrà necessariamente riportare anche l’oggetto della controversia e dovrà essere firmato sia dalla parte che dal legale che la assiste.

Il suddetto invito dovrà contenere l’avvertimento che, nel caso di mancata risposta entro il termine perentorio di 30 giorni oppure in caso di rifiuto, sia la mancata risposta che il rifiuto stesso potrebbero essere valutati dal giudice all’interno delle spese di giudizio.

La parte che riceve l’invito potrà: rifiutare l’invito, ammettendo così l’inizio del giudizio innanzi al Giudice competente; aderire all’invito e, dunque, concordare una data per la stipula della convenzione di negoziazione assistita; non dare alcuna risposta entro il termine di 30 giorni dalla ricezione dell’invito, con a possibilità di instaurare il giudizio innanzi al Giudice competente.

Infine, l’azione civile di risarcimento del danno nel caso di diffamazione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui la parte lesa viene a conoscenza del fatto illecito.

Dott. ssa Giulia Sari 

Trainee Lawyer

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