il licenziamento nel periodo di prova
Si vuole oggi analizzare la liceità del licenziamento disposto dal datore di lavoro durante il c.d. periodo di provadel dipendente.
Procediamo per punti.
1) Che cos’è il periodo di prova?
In ogni tipologia di contratto di lavoro, le parti possono prevedere l’effettuazione di un periodo di prova con lo scopo di permettere ad entrambe di valutare la convenienza del rapporto di lavoro.
La sua disciplina è contenuta nell’art. 2096 del Codice Civile, il quale prevede che: “Salvo diversa disposizione delle norme corporative, l'assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto. L'imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova. Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d’indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine. Compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa nell’anzianità del prestatore di lavoro”.
Alla luce di quanto stabilito nell’articolo appena menzionato, è opportuno esaminare le varie caratteristiche che il patto di prova deve possedere. Per prima cosa, esso deve risultare da atto scritto, pena la nullità della prova stessa (si tenga conto che normalmente viene inserito in un’apposita clausola posta all’interno del contratto di assunzione dello stesso lavoratore).
In secondo luogo, è necessario che il patto di prova contenga l’indicazione delle precise mansioni affidate al lavoratore stesso (Cass. civ., sez. lav., 25 febbraio 2015, n. 3852, in Diritto & Giustizia 2015). Tale indicazione può essere operata anche per relationem, ossia mediante rinvio alle declaratorie del contratto collettivo che definiscano le mansioni comprese nella qualifica di assunzione, sempre che il suddetto richiamo sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata (Cass. civ., sez. lav. 14 gennaio 2022, n. 1099, in www.memento.it). Un simile meccanismo offre al lavoratore la possibilità di impegnarsi secondo un programma ben definito in ordine al quale poter dimostrare le proprie attitudini, e concede al datore di lavoro la facoltà di esprimere la propria valutazione sull’esito della prova. Non sorprende, infatti, che la mancanza della specifica indicazione delle mansioni costituisca motivo di nullità del patto, con automatica conversione dell’assunzione in definitiva sin dall’inizio (Cass. civ., sez. lav., 30 ottobre 2001, n. 13525, inRivista Italiana di Diritto del Lavoro2002 I, 890).
Per quanto concerne la durata del periodo di prova, essa viene fissata dai diversi Contratti Collettivi di lavoro, e comunque non può eccedere i 6 mesi. Le parti possono anche superare il limite previsto dai Contratti Collettivi, purché sempre nel tetto massimo di 6 mesi, a condizione che l’estensione sia giustificata da una particolare complessità delle mansioni con onere della prova a carico del datore di lavoro (Cass. civ., sez. lav., 26 maggio 2000, n. 9798, in www.memento.it). Se, al termine di detto periodo, nessuna parte esprime volontà di recedere, la prova si ritiene automaticamente superata e il contratto prosegue in via definitiva, senza che sia necessario provvedere ad alcuna formalità in tal senso.
2) Possibilità di licenziamento del lavoratore durante il periodo di prova?
Il già citato art. 2096 comma 3 del Codice Civile prevede espressamente la libertà di ciascuna delle parti di recedere dal contratto durante il periodo di prova, senza obbligo di preavviso o d’indennità sostitutiva (c.d. recesso ad nutum). Tuttavia, la possibilità di recedere liberamente dal rapporto in prova da parte del datore di lavoro è più apparente che reale, dal momento che la giurisprudenza ha elaborato alcune regole, ormai acquisite, che limitano questa facoltà. In primo luogo, il recesso datoriale è considerato illegittimo nel caso in cui la prova non sia stata in concreto consentita. Lo stesso art. 2096 comma 2 stabilisce, infatti, che entrambe le parti sono tenute “a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova”, e cioè ad adoperarsi affinché la prova sia effettiva. Sulla base di un simile principio generale, si considera illegittimo il licenziamento intimato per mancato superamento della prova nel caso in cui il lavoratore dimostri che il periodo è stato inadeguato a permettere un’idonea valutazione delle sue capacità (Cass. civ., sez. lav., 6 giugno 1987 n. 4979, inForo it.1988, I, 872.), ossia se non sia trascorso un sufficiente lasso di tempo tra l’inizio della prova e il recesso.
Allo stesso modo, la giurisprudenza ha ritenuto illegittimo il licenziamento nel caso in cui al lavoratore vengano assegnate mansioni diverse, siano esse inferiori o superiori, rispetto a quelle indicate nel patto di prova (Cass.civ., sez. lav., 12 dicembre 2005, n. 27310,in Orient. giur. lav.2005, I, 998). In una simile situazione, però, il licenziamento del lavoratore non comporta la sua reintegrazione, ma il più limitato rimedio del risarcimento del danno parametrato al pregiudizio sofferto per essere il periodo di prova rimasto inadempiuto (Cass. civ., sez. lav., 3 dicembre 2018, n. 31159, inDiritto delle Relazioni Industriali 2019, II, 669).
In secondo luogo, il recesso datoriale è considerato illegittimo ogniqualvolta esso sia riconducibile a un motivo illecito; ciò si verifica, ad esempio, quando il licenziamento sia intimato al lavoratore in prova che aderisce ad uno sciopero o quando esso sia dettato da una ragione discriminatoria (come l’appartenenza del lavoratore a un partito o a un sindacato) o, infine, quando sia dovuto a una ragione estranea al rapporto di lavoro (come l’invalidità dello stesso lavoratore).
In terzo luogo, va sottolineato che le parti possono stabilire un termine minimo entro il quale è fatto divieto per entrambe di recedere. Tale principio è sancito nell’art. 2096 comma 3, il quale stabilisce espressamente che“Se la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine”. Un simile periodo di tempo consente sicuramente al lavoratore di potere dimostrare le proprie capacità lavorative, ma anche al datore di lavoro di potere procedere a una migliore valutazione circa l’esito della prova.
Alla luce di quanto appena detto, si conclude affermando che il principio del libero recesso stabilito dall’art. 2096 del Codice Civile sottrae il rapporto di lavoro in prova dalla generale disciplina dei licenziamenti individuali. Infatti, finché l'assunzione del lavoratore non è divenuta definitiva, non si applicano a lui le garanzie previste dall'art. 10 L. n. 604/1996.
3) Quali sono le conseguenze in caso di licenziamento illegittimo del lavoratore durante il periodo di prova?
Il recesso datoriale per mancato superamento della prova conduce a conseguenze sanzionatorie diverse al ricorrere di un vizio genetico o di un vizio funzionale del patto di prova.
In caso di vizio genetico (carenza di uno dei requisiti essenziali) il patto di prova è radicalmente nullo, cioè come se non fosse mai stato apposto al contratto di lavoro. Da ciò si capisce come il recesso non potrà che soggiacere alla disciplina ordinaria limitativa dei licenziamenti individuali, con conseguente applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori o, per i rapporti di lavoro instaurati dal 7 marzo 2015, degli artt. 3 o 8 del D.lgs. n. 23/2015 (Cass. civ., sez. lav., 3 dicembre 2018, n. 31159, in Giustizia Civile Massimario2019).
In caso di vizio funzionale (ossia quando il patto, pur perfettamente valido dal punto di vista formale, non venga di fatto adempiuto), invece, la parte datoriale si rende inadempiente ad una obbligazione contrattualmente assunta nello stesso patto di prova, con conseguente diritto del lavoratore di ottenere il risarcimento del danno secondo la disciplina comune di diritto civile. In tale ultimo caso, il lavoratore potrà quindi richiedere al giudice, ove possibile, di proseguire la prova per il periodo residuo mancante al raggiungimento del termine massimo fissato per la prova (risarcimento in forma specifica); ove ciò non sia possibile, perché concluso il periodo di prova, il prestatore di lavoro potrà ottenere il solo risarcimento del danno per equivalente in denaro, spesso parametrato al periodo medio di disoccupazione di un lavoratore operante nel medesimo settore merceologico e della stessa fascia di età, oltre all’eventuale perdita di altre occasioni di lavoro concretamente rifiutate all’epoca dell’assunzione (danno da perdita di chance).
Sulla base di quanto esposto, concludiamo affermando che, in caso di licenziamento illegittimo durante il periodo di prova, l’applicazione delle sanzioni varia a seconda del vizio cui è affetto il patto di prova.
Dott. Francesco De Grandi
(Trainee Lawyer)
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