L’ATP quale strumento giuridico di tutela in caso di compravendita di bene viziato e difettoso: normativa e principi.

Oggi si vuole analizzare la procedura dell’accertamento tecnico preventivo (d’ora in poi ATP). 

Può ricorrere all’ATP la parte che abbia urgenza di ottenere con rapidità la verifica delle condizioni in cui si trova un luogo o una cosa, temendo che questi mutino nell'attesa dei tempi necessari per l'espletamento di una CTU nel corso di un giudizio ordinario.

La caratteristica principale di questo procedimento cautelare di assunzione preventiva della prova è la provvisoria indipendenza dal giudizio di ammissibilità e rilevanza della prova, che sarà, invece, oggetto dell'autonomo e successivo giudizio di merito.

L'ATP può avere ad oggetto:

- la verifica sullo stato dei luoghi (art. 696 c. 1 c.p.c.);

- la verifica sulla qualità o condizione di cose (art. 696 c. 1 c.p.c.);

- la valutazione sulle cause e i danni relativi all'oggetto della verifica (art. 696 c. 2 c.p.c.).

Ad esempio, se una parte ha la necessità di effettuare dei lavori di riparazione su un edificio che, avendo subìto dei danni, è in pericolo di crollo, non potendo certo attendere l'instaurazione di una causa ordinaria per la verifica dello stato dei luoghi, può ricorrere all'ATP come mezzo di istruzione preventiva.

L’ATP può essere proposta prima o anche in corso di causa.

In corso di causa può essere richiesta anche durante l’interruzione o la sospensione del giudizio e il giudice vi provvede con ordinanza (art. 699 c.p.c.).

Prima della causa, invece, si instaura con un'istanza da presentare innanzi al giudice che sarebbe competente a conoscere la causa di merito, ossia tribunale in composizione monocratica o giudice di pace (art. 693 c. 1 c.p.c.).

L'istanza deve avere la forma del ricorso, deve contenere l'indicazione dei motivi d'urgenzache giustificano la richiesta di assunzione preventiva della consulenza nonché l'esposizione sommaria delle domande o eccezioni alle quali la prova è preordinata(art. 693 c. 3 c.p.c.) ed anche la domanda di merito cui l'atto è finalizzato, pena l'inammissibilità (Trib. Milano 26 febbraio 2003).

Il Presidente del Tribunale o il giudice di pace, accertata e rilevata l'ammissibilità e la fondatezza del ricorso, fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti, assegnando alla parte istante un termine perentorio entro il quale notificare il ricorso ed il decreto alla controparte(art. 694 c.p.c.).

All'esito di una cognizione sommaria, assunte se necessario sommarie informazioni, il Presidente del Tribunale o il Giudice di pace provvede sull'istanza con ordinanza (reclamabile: C.Cost. 16 maggio 2008 n. 144):

- se ritiene che non vi siano i presupposti rigetta la domanda;

- se ritiene che vi siano i presupposti accoglie la domanda, ammette l'istruzione preventiva, designa il giudice che deve provvedervi (art. 695 c.p.c.), nomina un consulente tecnico e fissa la data di inizio delle operazioni peritali (art. 696 c. 3 c.p.c.). In sede di comparizione, verranno anche individuati i quesiti tecnici ai quali il CTU dovrà dare risposta e le parti avranno la facoltà di designare i propri consulenti di parte, ovvero di riservarsi la nomina dei medesimi sino alla data fissata per l’inizio delle operazioni peritali da parte del C.T.U.

Dette operazioni devono avere come unico oggetto la verifica della situazione di fatto esistente in quel momento; il giudice può anche domandare al consulente indagini concernenti le cause e l'entità del danno lamentato solo se dette indagini risultino compatibili con le finalità cautelari del provvedimento (Cass. 5 dicembre 2013 n. 27298, Cass. 10 settembre 2009 n. 19563).

Una volta instaurato il contraddittorio ed affidato al CTU l’incarico, il procedimento non prevede alcuna udienza per la discussione e l’acquisizione dell’elaborato peritale e nessuna attività è più affidata all’impulso della parte ricorrente.

Il CTU, una volta prestato giuramento, dovrà redigere una relazione tecnica sulla scorta del sopralluogo effettuato che dovrà avvenire, obbligatoriamente, in presenza dei consulenti tecnici di parte. Il termine per il deposito della relazione scritta verrà fissato dal Giudice.

Se il Giudice verifica che l’ATP non è stato concluso o addirittura non è mai iniziato, alle parti viene assegnato un termine di quindici giorni per presentare l’istanza di completamento.

Il procedimento di ATP si conclude con il deposito della relazione del consulente nominato dal Giudice.

Non potrà essere adottato alcun altro provvedimento relativo al regolamento delle spese tra le parti, attesa la mancanza dei presupposti per detta statuizione ai sensi degli artt. 91 e 92 c.p.c..

La parte che prima della causa chiede l'accertamento tecnico preventivo deve anticiparne le spese in via provvisoria ed esclusiva (come affermato in motivazione da Cass. 18 ottobre 2016 n. 21045 e da Cass. 27 luglio 2005 n. 15672).

Se successivamente la parte richiedente non si attiva per iniziare il giudizio di merito, le spese rimangono a suo esclusivo carico; se invece si attiva e inizia il giudizio di merito, le spese sono considerate alla stregua di spese giudiziali e sono poste a carico della parte che risulterà soccombente nel giudizio, a meno che il giudice decida per la compensazione (Cass. 7 giugno 2019 n. 15492, Cass. 18 ottobre 2016 n. 21045).

La parte che ne ha interesse può, quindi, decidere di instaurare un giudizio ordinario.

Le indagini svolte per mezzo dell’ATP sono soggette alla valutazione del giudice di merito e vengono acquisite nel giudizio solo se ritenuta ammissibili (presupposto dell'urgenza) e rilevanti (art. 698 c.p.c.).

L'acquisizione della relazione tra gli atti di causa non necessita di un provvedimento formale, bastando anche la sua materiale apprensione nel fascicolo d'ufficio a mezzo del cancelliere ed essendo sufficiente che quel Giudice l'abbia esaminata per trarne elementi per il proprio convincimento (Cass. 9 marzo 2010 n. 5658, Cass. 9 novembre 2009 n. 23693, Cass. 7 settembre 2004 n. 17990). Il giudice, quindi, la valuta liberamente, potendo, anche, ritenerla irrilevante e non considerarla ai fini della decisione.

Nel nostro caso, in cui è difficilmente prospettabile il pericolo di dispersione della prova, risulta più indicato lo strumento della consulenza tecnica preventiva finalizzata alla conciliazione della lite, introdotto all’art. 696 bisc.p.c. dal d.l. n. 35/2005.

Il comma 1 della norma de qua, prevede, infatti, che: “l’espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’articolo 696(ndr: l’accertamento tecnico preventivo), ai fini dell’accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo articolo 696. Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti”.

Già dalla semplice lettura del comma 1 dell’articolo 696 bis c.p.c. è dato evincere come il suddetto strumento, così come prospettato dal legislatore, può essere utilizzato anche al di fuori delle condizioni di cui all’articolo 696, comma 1, c.p.c..

In particolare, la principale differenza che distingue i due tipi di accertamento tecnico preventivo è che la consulenza tecnica preventiva di cui all’articolo 696 bis c.p.c. non richiede per il suo espletamento la sussistenza del periculum in mora, ovverosia il pericolo che nell’attesa dell’insaturazione del processo di merito gli elementi di prova che necessitano di essere raccolti vengano dispersi.

La consulenza tecnica preventiva può essere promossa nelle controversie relative al pagamento di somme di denaro, derivante da illeciti contrattuali o extracontrattuali, potendo accertare anche l’anoltre alquantumdel diritto fatto valere.

Il nuovo ATP può trovare fattiva applicazione in tutte quelle controversie in cui il motivo del contendere riguardi solo la determinazione del risarcimento e, in generale, quando la conciliazione rappresenti un civile e ragionevole modo di dirimere questioni di facile risoluzione o di modesta entità, evitando che i costi del giudizio superino quelli del risarcimento.

Tale strumento, che si può usare in moltissimi casi, è molto utilizzato anche nell’ambito della responsabilità medica, per accertare se vi è responsabilità del medico e quant’è il danno (pratica Graziano/Asst. Melegnano).

La richiesta di consulenza tecnica preventiva si propone con ricorso innanzi il giudice che sarebbe competente per il merito.

Sotto il profilo strettamente procedurale, l’ATP conciliativo ha caratteri del tutto similari a quello tradizionale, atteso che la norma richiama indirettamente gli artt. 694 e 695 c.p.c., come descritta a pagina 2.

La differenza sostanziale con l’ATP prevista dall’art. 696 c.p.c. riguarda lo scopo del consulente tecnico che è, primariamente, quello di tentare la conciliazione delle parti, oltre che di accertare la sussistenza o meno del diritto fatto valere dalla parte ricorrente.

Dunque, tale strumento ha, da un lato, una funzione accertativa del danno(sia in ordine all’anche al quantumdebeatur) e, dall’altro lato, una funzione conciliativa, stante l’obbligo in capo al consulente nominato dal giudice, prima di depositare la relazione, di esperire un tentativo di conciliazione tra le parti. Ed inoltre, stante la sua duplice funzione, la consulenza tecnica preventiva ha inevitabilmente una funzione deflattiva del contenzioso.

Il procedimento si introduce con ricorso al giudice competente che fissa con decreto l’udienza di conferimento dell’incarico al CTU, assegnando termine perentorio per la notifica del ricorso. All’udienza di comparizione, il giudice verifica la regolarità del contraddittorio ed eventualmente dispone la chiamata in causa di terzi potenzialmente interessati alla lite e che potrebbero favorirne la conciliazione (si pensi alla chiamata in garanzia dell’assicurazione o del soggetto realmente responsabile). A questo punto, fissa la data delle operazioni peritali, l’anticipo dell’onorario e, soprattutto, specifica i quesiti della consulenza, dando così un preciso indirizzo giuridico al consulente che, anche se investito di ampi poteri, resta sempre un suo ausiliare. Attività e poteri del consulente sono regolati dagli artt. 191-197 c.p.c., espressamente richiamati dall’ultimo comma dell’art. 696 bis c.p.c.. Il mancato richiamo all’art. 201 c.p.c. non esclude la possibilità di nominare un consulente di parte, la cui presenza è indirettamente prevista anche dall’art. 194 c.p.c. e, comunque, indispensabile per consentire alle parti di valutare le risultanze della consulenza anche da un punto di vista tecnico. Nel corso delle operazioni peritali, il CTU ha l’obbligo di tentare la conciliazione e, in caso positivo, forma il processo verbale di conciliazione (articolo 696 bis, comma 2, c.p.c.) e lo deposita in cancelleria affinché il giudice, con decreto, gli attribuisca efficacia di titolo esecutivo e, contestualmente, provveda anche alla liquidazione del suo onorario. Il verbale diventa utilizzabile per ogni tipo di esecuzione forzata ed è esente dall’imposta di registro (articolo 696 bis, comma 3 e 4, c.p.c.).

In ogni caso, “se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente tecnico sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito” (comma 5).

Al comma 6 dell’articolo 696 bis c.p.c. Il legislatore rinvia, per quanto compatibili, alle disposizioni in materia di “istruzione probatoria” e, segnatamente, dall’art. 191 all’art. 197 c.p.c.

Il Giudice, quindi, espletata una, seppur sommaria, valutazione in relazione alla sussistenza del fumus boni iuris, ovverosia della configurazione della situazione sostanziale da tutelare in termini di sua probabile esistenza, dispone la nomina un consulente tecnico affinché tenti, in via preliminare, di conciliare le parti e, in subordine, rediga un’apposita perizia volta ad accertare e a determinare la sussistenza degli eventuali crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito.

In definitiva il ricorso ex art. 696 bis c.p.c. si differenzia da quello ex art. 696 c.p.c. in quanto il primo è finalizzato ad una bonaria composizione della lite. Tale tentativo deve essere esperito dal consulente d’ufficio nominato dal Tribunale. In sostanza l’atto da proporre è lo stesso, cambia in parte il fine che non è esclusivamente l’anticipazione di un mezzo istruttorio, ma anche e soprattutto la finalità conciliativa.

Si allega un modello di ricorso per ATP ai fini conciliativi e provvedimento di nomina di CTU e formulazione del quesito.

Sotto altro profilo si fa rilevare che il ricorso per l’ATP devo contenere, ai fini dell’ammissibilità, anche l'esposizione sommaria delle domande o eccezioni alle quali la prova è preordinata (art. 693 c. 3 c.p.c.) ed anche la domanda di merito cui l'atto è finalizzato.

Ad esempio si vuole ipotizzare l'instaurazione l’ATP preordinata ad un’azione di garanzia per vizi della cosa venduta ex art. 1490 c.c. 

Fra le obbligazioni principali del venditore, il legislatore indica quella di garantire il compratore dai vizi della cosa venduta (art. 1476 c.c., n. 3).

Il comma 1 dell'art. 1490 c.c. precisa che «il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata, o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore».

I vizi devono essere di tale natura da rendere la cosa venduta inidonea all'uso cui è destinata, o da diminuire in modo apprezzabile il valore. Tra le due ipotesi previste dall'art. 1490 c.c. vi è una netta distinzione: la prima si riferisce a difetti strutturali, mentre la seconda comprende quelle deficienze che rendono la cosa soltanto meno idonea all'uso cui è destinata. Nel primo caso rientra l'ipotesi di un motore costruito male che non riesce a funzionare, mentre nella seconda ipotesi si è fatto l'esempio di un monile d'oro marcato a 18 carati che, in un secondo momento, risulti di un titolo minore (o, addirittura, di metallo diverso: in tal caso si può ravvisare la c.d. consegna di aliud pro alio).

I vizi, inoltre, devono essere occulti; in caso contrario, ai sensi dell'art. 1491 c.c., qualora al momento della conclusione del contratto il compratore avesse conosciuto i vizi oppure se i vizi fossero stati facilmente riconoscibili, la garanzia non è dovuta.

In terzo luogo, secondo la dottrina prevalente, deve trattarsi di vizi materiali della cosa, perché i vizi relativi alla condizione giuridica rientrano nella disciplina dell'evizione.

I vizi, infine, devono essere preesistenti alla vendita o quantomeno devono derivare da preesistenti cause.

Oltre all'esclusione legale prevista dall'art. 1491 c.c. in relazione ai vizi non occulti della cosa, è ammessa, anche in tema di vizi, una esclusione convenzionale della garanzia, ex art. 1490, comma II, c.c., che pone un solo limite: che il venditore abbia in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa.

I vizi della cosa vanno distinti dall'ipotesi della vendita di aliud pro alio.

La distinzione è di notevole importanza, dato che in caso di consegna di cosa diversa non si applica la normativa sui vizi o sulla mancanza di qualità, ma quella sull'azione generale di risoluzione; in particolar modo l'azione non è soggetta ai brevi termini di prescrizione e di decadenza ex art. 1495 c.c., ma alla prescrizione decennale, in base a quanto disposto dall'art. 2946 c.c.  Teoricamente, la differenza non presenta dubbi: parlare di una cosa che presenta vizi non equivale a parlare di una cosa di genere diverso rispetto a quella pattuita; sul piano pratico, invece, è meno facile accertare quando una cosa possa definirsi viziata ovvero diversa da quella oggetto del contratto.

La Cassazione, al fine di dirimere questo problema, ha fatto ricorso al concetto di funzione (sent. n.829 del 29.01.83), affermando che si ha consegna di aliud pro alionon solo quando la cosa appartenga ad un genere del tutto dissimile da quello pattuito, ma anche quando difetti delle particolari qualità necessarie per assolvere alla sua naturale funzione economico-sociale oppure a quella specifica funzione che le parti abbiano assunto quale essenziale. Con questo criterio sono state considerate come diverse anche cose appartenenti allo stesso genere: terreni venduti come edificabili in zone dove sia stato vietato costruire; acqua non potabile venduta come potabile, ecc.

Il compratore della cosa viziata è tutelato con le azioni edilizie, la cui origine storica va ricercata nel diritto romano, essendo previste negli editti degli edili curuli (da cui derivano il nome). Tali azioni sono: a) la risoluzione del contratto (azione redibitoria)e b) la riduzione del prezzo (azione estimatoria o quanti minoris), previste dall'art. 1492, comma II, c.c.  

L'azione redibitorianon è un'azione sui generis, ma ha la stessa natura dell'azione generale di risoluzione per inadempimento; trova il proprio fondamento in un difetto funzionale della causa che sussiste indipendentemente dall'eventuale colpa o dolo del venditore. La risoluzione del contratto comporta, per sua natura, il ripristino della situazione anteriore, così come previsto dall'art. 1493 c.c.: il venditore deve restituire il prezzo e rimborsare le spese ed i pagamenti legittimamente fatti per la vendita, mentre il compratore deve restituire la cosa vendutagli. Questa restituzione non potrà avvenire se la cosa sia perita in conseguenza dei vizi (artt. 1492, co.III e 1493, co.II).   L'azione estimatoria, invece, consiste nella riduzione del prezzo in rapporto alla minore utilità offerta dalla cosa al compratore; tale riduzione si eseguirà diminuendo il prezzo pattuito di una percentuale pari a quella che rappresenta la menomazione che il valore effettivo della cosa subisce a causa dei vizi.

Le due azioni sono tra loro alternative e la scelta di una è irrevocabile quando sia proposta con domanda giudiziale (art. 1492, co.II).

Il compratore decade dal diritto alla garanzia se non denuncia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta, salvo diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge (prescrizione di un anno); la denuncia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l'esistenza del vizio o l'ha occultato.

In ogni caso, prescindendo da quale delle due azioni sia stata scelta, il compratore può promuovere un'azione di risarcimento dei danniderivati dai vizi della cosa ex art. 1494 c.c., a meno che il venditore non dimostri di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa.

Si riportano alcune pronunce giurisprudenziali sul punto:

In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta ex art. 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all'art. 1492 c.c. ha l'onere di offrire la prova dell'esistenza dei vizi. Tale principio deve essere esteso alla richiesta di risarcimento del danno per vizi della cosa venduta, in cui sussiste l'ulteriore onere di dimostrare l'esistenza del nesso causale fra difetto e asserito pregiudizio subito(Tribunale Ravenna, 15/10/2019, n.1039 in www.dejure.it).

Qualora il bene compravenduto presenti dei vizi gravi che interessano un elemento strutturale essenziale che ne altera la stessa integrità e la possibilità di godimento (nella specie: l'autovettura compravenduta presentava un vizio allo scambiatore di calore del cambio ove passa il liquido refrigerante), il compratore non ha diritto alla riduzione ad equità quando non provi l'incidenza del vizio riscontrato sul valore del bene al momento dell'acquisto, ma ha diritto al risarcimento dei danni ex art. 1494 c.c. (nella specie: le voci che sono state riconosciute a titolo di risarcimento dei danni sono spese per riparazione veicolo, per anomalia del cambio e per noleggio auto, non il fermo tecnico poiché l'utilizzo della vettura a noleggio esclude in radice il riconoscimento di detta voce di danno). (Tribunale Foggia sez. II, 07/10/2019, n.2248 in www.dejure.it).

Deve ritenersi che il concessionario, in quanto venditore professionale, non poteva non essere consapevole dell'imminente grippaggio della turbina dell'autovettura venduta, così omettendo di provvedere alla sua preventiva sostituzione e vendendo un prodotto che, sia pur usato, avrebbe dovuto essere privo di detta prevedibile anomalia, in quanto la vendita dell'usato non deve essere considerata come un affare, ma come una normale vendita rivolta a soddisfare pienamente il bisogno contingente dell'acquirente.

Va ritenuta "più che probabile" l'impossibilità della preventiva diagnosi, da parte del concessionario, dell'imminente rottura dell'albero motore, ancor prima della vendita dell'autovettura, nel mentre deve ritenersi che questi, in quanto venditore professionale, avrebbe dovuto prevedere l'imminente definitiva usura del volano ed avrebbe dovuto sostituirlo con uno nuovo o, quanto meno, avrebbe dovuto informare l'acquirente della sua più che probabile sostituzione in tempi brevi. Deve ritenersi, altresì, che era onere di normale diligenza dell'acquirente far effettuare un chek-up completo dell'autovettura, allorquando la fece ricoverare in officina per la sostituzione della "turbina", atteso l'elevato chilometraggio del veicolo acquistato (Tribunale Teramo, 27/10/2015, n.1447 in www.dejure.it).

È bene sottolineare che la disciplina codicistica, applicabile al contratto di compravendita in generale, non si applica nel caso di vendita di beni di consumo, ovvero nei contratti in cui il venditore è un professionista e l'acquirente un consumatore. In tal caso, infatti, la normativa applicabile è quella di cui al Codice del Consumo (d. lgs. n. 206/2005) che detta una disciplina di favore nei confronti del consumatore, in ragione della sua "debolezza" contrattuale.

È importante, allora, individuare nel Codice del consumo chi è il consumatore, cioè chi sia e come venga identificato il soggetto tutelato dalle norme a protezione dei consumatori e che può utilizzarle nel momento in cui, ad esempio, il bene o il servizio acquistato presenti un difetto.

Una risposta univoca è stata fornita dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 17848 del 19 luglio 2017, secondo cui, stante la definizione fornita dal Codice del Consumo, la possibilità di considerare una persona giuridica come un consumatore è da escludersi categoricamente, tanto più che, come affermato da una costante giurisprudenza, ad “una società che abbia come oggetto un’attività […] che rientri fra quelle integranti l’impresa commerciale” deve essere necessariamente “riconosciuta la qualità di imprenditore a prescindere da ogni indagine sul concreto esercizio di quell’attività”.

Tuttavia il dubbio restava per quanto concerne la disciplina applicabile ai cd. ‘contratti a finalità promiscua, privata e professionale'.

Sul punto la Corte di Giustizia dell'Unione Europea venne chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla corretta interpretazione da attribuire all'art. 13 della Convenzione di Bruxelles del 1968 e, con una sentenza del 2005, chiarì che la controparte di un contratto stipulato per finalità mista, personale e professionale, non abbia il diritto di avvalersi del beneficio delle regole derogatorie di competenza del foro del consumatore, previste dagli artt. 13-15, se non nell'eccezionale ipotesi in cui fra il contratto stipulato e l'attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta intercorra un legame talmente modesto da divenire assolutamente marginale.

Si allega modello di ricorso ATP a fini conciliativi: modello ricorso atp

Dott. Emanuele Giungi

(Trainee Lawyer)

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