L’impugnazione delle delibere condominiali

Si analizzano oggi le seguenti tematiche:

1) definire le modalità l’impugnazione delle delibere assembleari di condominio, ovvero i termini e le differenze d’impugnazione di delibere affette da nullità o annullabili;

2) individuare la ripartizione delle spese riguardanti una parte comune d’immobile concessa ad uso esclusivo ad un condomino;

3) le differenze fra regolamento condominiale di natura contrattuale e regolamento condominiale assembleare. 

1) Ai sensi dell’art. 1137 secondo comma c.c. «contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire  l'autorità giudiziaria chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti». Nella previsione dell’impugnazione il legislatore, però, non ha previsto come devono essere qualificate le cause d’invalidità della delibera assembleare e in che modalità deve essere proposta l’impugnazione. È la giurisprudenza che ha provveduto all’individuazione dei casi di nullità ed annullabilità.

Devono qualificarsi come «nullele delibere assembleari prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito,  le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all'oggetto; debbono, invece, qualificarsi annullabilile delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto» (Corte di Cass. sez. un. 7/3/2005, n. 4806).

È annullabile anche la delibera con la quale l'assemblea abbia ripartito le spese, legittimamente approvate nel loro ammontare, in parti uguali tra tutti i condomini e non in base alle tabelle millesimali (Trib. di Perugia, 31/1/2014, n. 231). 

Per quanto concerne i termini d’impugnazione delle delibere viziate, quando esse sono annullabili il termine, ai sensi del terzo comma dell’art. 1137 c.c.,  è fissato a 30 giorni dalla data della liberazione per i dissenzienti e dalla data delle comunicazione per gli assenti, mentre nel caso di delibera nulla, la nullità può essere fatta valere senza limiti di tempo e da chiunque, compreso il condomino che abbia partecipato all’assemblea esprimendo voto conforme alla deliberazione che modifica i criteri legali previsti dall'art. 1123 c.c. o di regolamento contrattuale di riparto delle spese per la prestazione di servizi nell'interesse comune (Corte di Cass. sez. II, 14/6/2013, n. 15042).

2) Il secondo quesito riguardante la divisione delle spese di porzioni di immobili ad uso esclusivo, necessita preliminarmente l’analisi di due questioni: come vengono divise le spese e che cosa s’intende per diritto d’uso esclusivo nell’ambito del condomini.

Ai sensi dell’art. 1123 c.c. le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni vengono ripartire in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino, salvo diversa convenzione. Rientrano in questo elenco le spese relative al compenso dell’amministratore, quelle per il premio dovuto alla compagnia assicurativa per la polizza dello stabile, le spese di cancelleria non individualmente imputabili…

Ai sensi del secondo comma del succitato articolo, nel caso in cui le cose siano destinate a servire i condomini in misura diversa, la ripartizione delle spese viene effettuata secondo il criterio dell’uso, ovvero in maniera proporzionale rispetto a quanto ne usufruisce il condomino.

Tale criterio fa riferimento all’uso nei termini di minore possibilità di fruizione del bene comune per ragioni strutturali dello stabile condominiale indipendenti dalla volontà del soggetto.

Si fa rilevare che le delibere che violano i criteri normativi o regolamentari impartiti per la ripartizione delle spese sono nulle.

Per quanto concerne la seconda questione preliminare, bisogna determinare cosa si intende per diritto d’uso esclusivo condominiale.

Un diritto d’uso su beni condominiali è ammissibile se necessario al momento di costituzione del condominio o nel regolamento condominiale e le parti sottraggono alla presunzione di comunione ex art. 1117 c.c. alcune delle parti altrimenti comuni.

Il diritto d’uso esclusivo previsto per le questioni condominiali, però, non va confuso con il diritto d’uso ex art. 1021 c.c. in quanto l'uso esclusivo di una parte comune del condominio differisce dalla normativa prevista dall’art. 1021 c.c. riguardo ai limiti di durata, alla trasferibilità e alle modalità di estinzione (Corte di Cass.16.10.2017, n. 24301).

L’art. 1117 c.c. permette, dunque, di escludere totalmente alcuni beni dalla comunione condominiale, il bene in sè però rimane comune e il diritto d’uso deroga solamente a quanto disposto dall’art. 1102 c.c., che consente ai partecipanti di fare uso della cosa comune  secondo il loro diritto.

In ragione di ciò, rimanendo il bene comunque comune e visto quanto dettato dal primo comma dell’art. 1123 c.c., le spese relative a spazi comuni concessi ad uso esclusivo di un condomino sono da dividersi in maniera proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione. 

3) In ultima analisi, il regolamento condominiale può essere di natura contrattuale o assembleare.

Il regolamento contrattuale è redatto dal costruttore dell’edificio e fatto approvare da ciascun acquirente degli immobili all’atto del rogito. La peculiarità di tale regolamento è data dalla necessaria accettazione all’unanimità, anche in momenti diversi e non in assemblea.

Il regolamento assembleare, invece, viene approvato in assemblea ed è sufficiente la votazione favorevole della maggioranza degli intervenuti purché abbiano almeno la metà dei millesimi dell’edificio (come previsto dall’art. 1136 c.c. per la validità delle deliberazioni dell’Assemblea, così anche stabilito dalla Corte di Cass., sez. civ. 15/11/2016, n.23255).  

Al momento della votazione del regolamento assembleare è possibile raggiungere anche l’unanimità ein tal caso il regolamento seguirà le stesse regole del regolamento contrattuale e quindi, essendo espressione della volontà di tutti i condomini, potrà anche contenere limitazioni all’uso degli appartamenti.

Infatti, il regolamento condominiale approvato a maggioranza non può contenere disposizioni che limitino il godimento degli appartamenti in quanto, ai sensi del quarto comma dell’art. 1138 c.c., «le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni». Deve essere dichiarato invalido, in quanto contrario alla legge, il regolamento assembleare che introduce delle limitazioni alle proprietà dei condomini.

 Pertanto le clausole limitative della proprietà sono ammissibili solo nel regolamento condominiale contrattuale e possono riguardare sia limitazioni d’uso della destinazione della proprietà privata che limiti ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sugli immobili di loro proprietà esclusiva e sulle parti comuni del condominio.

Per quanto concerne la modifica del regolamento, sia contrattuale sia assembleare, vengono richieste le stesse quote di maggioranza necessarie per la approvazione: è richiesta l’unanimità per il regolamento contrattuale e la maggioranza pari a 500 millesimi per il regolamento assembleare.

Tuttavia, vi è un’unica deroga al quorumrichiesto per la modifica del regolamento: nel caso di modifica della ripartizione delle spese, come prevista all’art. 1136 c.c. o nel regolamento, è sempre necessaria l’unanimità e, nel caso di violazione, la Giurisprudenza ha previsto la nullità della delibera (Corte di Cass. 14/6/2013, n. 15042; Trib. di Perugia, 24/3/2015, n. 602).

La nullità della delibera può essere fatta valere anche dal condomino che abbia partecipato all’assemblea  e abbia espresso il proprio voto favorevole (Corte di Cass. 14/6/2013, n. 15042). 

Dott.ssa Giulia Sari

Trainee Lawyer

 

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