Sulla ripetizione di indebito e sull’arricchimento senza giusta causa

Si analizza pra l'individuazione dei presupposti oggettivi e soggettivi dell’azione di arricchimento senza causa e verifica se l’azione di arricchimento ingiustificato possa configurarsi come azione residuale.
L’arricchimento senza causa è disciplinato dal codice civile agli articoli 2041 e 2042.
L’art. 2041 stabilisce che: «chi senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. Qualora l’arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata colui che l’ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda».
In sostanza, l’ordinamento non può consentire che un soggetto riceva un vantaggio dal danno arrecato ad altri, senza che vi sia una causa che giustifichi lo spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro.
Tale principio viene tutelato dall’ordinamento attraverso una molteplicità di azioni e strumenti (si pensi alle azioni di annullamento, di rescissione, di risoluzione che possono portare alla ripetizione dell’indebito, ecc.). Per esempio, se Tizio mi ha fatto firmare il contratto raggirandomi (per esempio vendendomi delle mere ristampe in luogo degli originali) allora il contratto è annullabile; una volta ottenuto l'annullamento del contratto lo spostamento patrimoniale non è più giustificato e l'ordinamento appresta idonea azione per ristabilire la situazione patrimoniale antecedente al contratto: l'azione di ripetizione dell'indebito (articolo 2033). Potrebbe accadere, però, che, nonostante la previsione delle numerose azioni, il soggetto rimanga sprovvisto di tutela per la peculiarità del suo caso. Per esempio: io presto la macchina a un mio amico; questo amico porta la macchina dal meccanico, perché funziona male; il meccanico ripara la macchina, ma il mio amico è insolvente; in tal caso abbiamo una situazione per cui io mi sono arricchito (per le riparazioni effettuate) e il meccanico si è impoverito. In tal caso il meccanico non otterrà nulla agendo contro il mio amico, dato che costui è insolvente; vorrebbe agire contro di me, ma nessuna azione è apprestata dall'ordinamento per risolvere un caso del genere.
Per tale ragione la legge ha stabilito sì un’azione generale di arricchimento (art. 2041 c.c.), ma l’ha resa esperibile solo se il danneggiato non può esercitare nessun’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito. Non a caso la dottrina e la giurisprudenza affermano costantemente che l’azione abbia carattere sussidiario. Tale carattere è esplicitato dall’articolo 2042 c.c. (che si intitola “sussidiarietà dell’azione”) e che recita:« L'azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un'altra azione per farsi indennizzare dal pregiudizio subito». In altri termini, l’azione generale di arricchimento è stata concepita come valvola di sicurezza del sistema, capace di intervenire ed eliminare l’ingiustificato arricchimento di un soggetto a danno di un altro quando, per il particolare atteggiarsi della fattispecie concreta, al danneggiato non è data nessuna azione per tutelarsi e riequilibrare i due patrimoni.
Pertanto, presupposti dell’azione generale di arricchimento sono:
1. l’arricchimento di una persona;
2. il depauperamento di un’altra;
3. la mancanza di causa che giustifichi il pregiudizio subito;
4. il nesso causale tra diminuzione patrimoniale ed arricchimento. Quando si parla di nesso di causalità si vuole indicare che tra l'arricchimento e il depauperamento deve esserci questa relazione: a) l'arricchimento di una parte deve essere causato direttamente dal depauperamento dell'altra; b) il fatto che ha causato l'arricchimento ingiusto deve essere unico (non è ammesso, cioè, che possano esserci più cause concorrenti). Assodata la sussidiarietà dell’azione di arricchimento ingiustificato, l’istituto che sembra meglio adeguarsi al caso di specie è quello della ripetizione dell’indebito. Nell’ordinamento italiano si definisce pagamento dell’indebito “l’esecuzione di una prestazione non dovuta”.
È necessario tenere ben distinte due diverse figure di indebito:
a) si ha indebito oggettivo allorquando viene effettuato un pagamento benchè non esista alcun debito (art. 2033 c.c.);
b) si ha indebito soggettivo quando chi non è debitore, tuttavia, credendosi erroneamente tale, paga al creditore quanto è, in realtà, dovuto a quest’ultimo da un terzo. Si ha indebito, in tal caso, soltanto se colui che paga il debito altrui è in errore (che dev’essere scusabile): altrimenti deve ritenersi che abbia inteso eseguire il pagamento in sostituzione del debitore (art. 2036 c.c.).
In entrambi i casi chi ha eseguito il pagamento ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda (artt. 2033 e 2036).
In merito all’onere della prova una recente pronuncia del Tribunale di Roma sez. XVII, 19/02/2019, n.3794 ha precisato che “la domanda di indebito oggettivo, per essere qualificata come tale, con conseguente possibilità di ripetere quanto indebitamente pagato, deve avere ad oggetto la restituzione di somme di somme pagate sulla base di un titolo inesistente, ed ha pertanto una natura restitutoria più che risarcitoria. Poiché l’inesistenza della causa debendi (unitamente all’avvenuto pagamento e al collegamento causale) è un elemento costitutivo della domanda di indebito oggettivo, la relativa prova incombe sulla parte che propone la domanda, trattandosi di elemento costitutivo della stessa, ancorché abbia ad oggetto fatti negativi, dei quali può essere data prova mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario o mediante presunzioni da cui desumersi il fatto positivo”.
Seconda la Cassazione civile sez. I, 03/12/2018, n.31187 per ottenere la corresponsione degli interessi legali l’interessato è tenuto a effettuare una specifica richiesta. La Suprema Corte afferma infatti che “pur avendo colui che ha eseguito un pagamento non dovuto diritto, oltre che alla restituzione delle somme pagate anche alla corresponsione degli interessi legali sulle somme stesse, tuttavia, quando l'interessato agisce in giudizio per la restituzione dell'indebito, non si può prescindere da una specifica richiesta degli interessi, non essendovi alcuna ragione che possa giustificare, a questo proposito, una deroga alla regola generale, secondo la quale il giudice non deve pronunciare oltre i limiti della domanda”.
Qualora ci fosse il pagamento doppia di una fattura con bonifico bancario (che dovrebbe essere il metodo di pagamento più comune, ma è ovviamente da verificare), si applica il D.Lgs. n. 11/2010, che prevede che la banca non può stornare (rectius, revocare) la somma erroneamente accreditata ad un altro soggetto. Tuttavia, questo assunto richiede alcune precisazioni.
A mente dell’art. 5, “Il consenso può essere revocato in qualsiasi momento, nella forma e secondo la procedura concordata nel contratto quadro o nel contratto relativo a singole operazioni di pagamento, purché prima che l'ordine di pagamento diventi irrevocabile ai sensi dell'articolo 17”.
L’art. 17, in particolare, stabilisce che: “una volta ricevuto dal prestatore di servizi di pagamento del pagatore l'ordine di pagamento non può essere revocato dall'utilizzatore”, salvo alcuni casi particolari. Ed ancora, “[…]per la revoca dell'ordine di pagamento è necessario anche il consenso del beneficiario”.
Riassumendo, in linea generale, una volta che la somma erroneamente accreditata sia entrata nella disponibilità contabile del soggetto beneficiario (detto anche delegatario), questa non può più essere stornata, ovvero revocata e restituita al soggetto che ha erroneamente effettuato il bonifico.
Ad avvalorare tale tesi sono intervenute varie decisioni dell’Arbitro Bancario e Finanziario (ABF), sostenendo che “alla luce delle disposizioni normative che disciplinano il rapporto di conto corrente non v’è dubbio che lo storno effettuato dalla Banca in mancanza di preventiva manifestazione di consenso da parte del ricorrente (destinatario del bonifico) sia da valutare illegittimo” (ABF - Collegio di Milano, decisione 844/2010).
L’intermediario dovrebbe, pertanto, non soltanto informare il cliente beneficiario della somma in conto corrente, ma provvedere all’acquisizione della sua autorizzazione prima di provvedere allo storno ed, in difetto, il delegante (cioè chi ha erroneamente ordinato di effettuare il bonifico) non ha altra strada che agire a titolo di ripetizione di indebito (art. 2033 c.c.) nei confronti del beneficiario (ABF - Collegio di Roma, Decisione N. 517 del 28 gennaio 2013).
È possibile, però, che il destinatario non abbia nessuna intenzione di restituire quanto erroneamente ricevuto e si adoperi per nascondere il denaro.
Il beneficiario che non restituisce quanto erroneamente percepito potrebbe avere delle conseguenze penali, subendo l’imputazione per appropriazione indebita, reato previsto e punito dall’art. 646 c.p. (“chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032 “).

Dott. Emanuele Giungi

Trainee Lawyer

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