Sull’azione di regresso del genitore che ha adempiuto ai propri doveri nei confronti della prole.

Si descrive l'azione di regresso per ottenere il rimborso delle spese sostenute da un genitore nei confronti dell’altro genitore in favore dei figli.

Procediamo per punti.

1) Diritto al regresso?

L’art. 1299 del Codice Civile stabilisce che “Il debitore in solido che ha pagato l'intero debito può ripetere dai condebitori soltanto la parte di ciascuno di essi".

Il codice contempla alcune ipotesi di regresso, tra le quali figura anche il caso di mancato rispetto degli obblighi genitoriali nei confronti dei figli.

Sulla base dell’art. 316 bis del Codice Civile, infatti, “I genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli. In caso di inadempimento il presidente del tribunale, su istanza di chiunque vi ha interesse, sentito l'inadempiente ed assunte informazioni, può ordinare con decreto che una quota dei redditi dell'obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all'altro genitore o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l'istruzione e l'educazione della prole.

Tale principio ha di recente trovato conferma in una nota sentenza della Corte di Cassazione, la quale ha espressamente stabilito che “ove uno soltanto dei genitori abbia provveduto integralmente alle spese di mantenimento del figlio minore, questi ha diritto di agire in regresso per il recupero delle quote relative al genitore inadempiente, secondo le regole generali sul rapporto tra condebitori”(Cass. civ, sez. VI, 19 giugno 2019, n. 16404, in Smart24Lex). Al riguardo, la Suprema Corte fa riferimento all’art. 148 del Codice Civile il quale, prevedendo l’azione giudiziaria contro tale genitore, postulerebbe il diritto del genitore adempiente di agire (appunto in regresso) nei confronti dell’altro.

La giurisprudenza non è nuova all’affermazione di detti principi laddove si consideri quanto statuito nella sentenza 22 novembre 2000 n. 15063, ossia che “Il riconoscimento del figlio naturale comporta l’assunzione di tutti i diritti e doveri propri della procreazione legittima, ivi compreso l’obbligo di mantenimento. Ne consegue che, nell’ipotesi in cui al mantenimento abbia provveduto, integralmente o comunque al di là delle proprie sostanze, uno soltanto dei genitori, a lui spetta il diritto di agire in regresso per il recupero della quota del genitore inadempiente, secondo le regole generali del rapporto tra condebitori solidali”(Cass. civ., sez. I, 22 novembre 2000, n. 15063, in La Tribuna, Archivio Civile, 2001, 9, pag. 1026; Cass. civ., sez I, 26 maggio 2004, n. 10124, inIl Sole 24 Ore, Ventiquattrore Avvocato,2012, 2, pag. 85).

Alla luce di quanto detto concludiamo affermando la possibilità per il genitore che ha sostenuto da solo le spese per il mantenimento del figlio di agire nei confronti del genitore inadempiente.

2) Diritto al mantenimento?

Il diritto al mantenimento del figlio trova il proprio fondamento normativo, nell’art 30 Cost., nelle norme contenute nel codice civile, così come modificate dalla riforma operata con la L. n. 219/2012 e con il dlgs n. 154/2013 a seguito del quale non vi è alcuna distinzione tra figli nati all’interno del matrimonio e figli nati da genitori non coniugati.

A tenore dell’art 30 Cost. “E'  dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”, ed ancora l’art 147 c.c. fa un richiamo all’art 315 bis. secondo cui “Il figlio ha diritto di essere  mantenuto, educato,  istruito  e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue  capacita', delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”.

Nell’imporre il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, l’art. 315-bis c.c. obbliga tutti i genitori a far fronte a diverse esigenze, non riconducibili ai soli bisogni essenziali, quale l’obbligo alimentare, ma “estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione – fin quando la loro età lo richieda – di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione” (Cass. n. 6197/2005, in www.cortedicassazione.it).

Il diritto al mantenimento dei figli non cessa al compimento della maggiore età, difatti con il d.lgs. n. 154/2013 è stata prevista una norma specifica – l’art. 337-septies c.c. (che ha sostituito l’art. 155-quinquies c.c., a sua volta introdotto dalla l. n. 54/2006) – secondo la quale “il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico”.

Ed anche la giurisprudenza si è espressa su tale diritto, stabilendo che “L'obbligo di mantenere il figlio non cessa automaticamente al raggiungimento della maggiore età dello stesso, ma si protrae se il figlio, senza sua colpa, rimanga ancora dipendente dai genitori(Cass., 3 dicembre 2021, n. 38366, in www.altalex.it, in senso conforme anche Tribunale Firenze sez. III, 05/04/2022, n.978, in dejure.it).

Sulla determinazione del quantum dell’assegno di mantenimento l’art 337 ter stabilisce che “Sulla determinazione del quantum dell’assegno di mantenimento l’art 337 ter stabilisce che “salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio, 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore, 4) le risorse economiche di entrambi i genitori, 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. L'assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.”

Ed ancora la giurisprudenza sostiene che “l'ammontare dell'assegno di mantenimento in favore dei figli maggiorenni, non economicamente indipendenti, è frutto del bilanciamento tra la loro attuale condizione economica e le esigenze degli stessi non potendo, tale contributo, essere parametrato solo sulla capacità economico/reddituale dell'obbligato” (Cassazione civile , 08 febbraio 2022, n.4035, sez. I, in dejure.it).

In conclusione si può sostenere che anche la figlia maggiorenne ha diritto al mantenimento da parte dei genitori.

Aspetti processuali?

Dal 2006 (anno in cui entra in vigore la legge n. 54, che ha per la prima volta affrontato il tema del mantenimento dei figli maggiorenni) le pronunce della giurisprudenza sono state pressoché unanimi nell’affermare che il genitore obbligato non può decidere autonomamente di versare la somma dovuta a titolo di mantenimento direttamente al figlio, anziché all’altro genitore, al raggiungimento della maggiore età da parte del figlio non ancora economicamente autosufficiente (Cassazione civile sez. I, 12/11/2021, n.34100, Cass. Civ., n. 25300 del 2013, in dejure.it).

Sulla base di tale orientamento, la stessa, al fine di stabilire a chi spetti la legittimazione a proporre domanda di mantenimento, suole distinguere tra figlio maggiorenne convivente con il genitore e non convivente.

Nel primo caso ( figlio ancora convivente) la giurisprudenza si è espressa in tal senso “il coniuge separato o divorziato, già affidatario del figlio minorenne, è legittimato iure proprio, anche dopo il compimento da parte del figlio della maggiore età, ove sia con lui convivente e non economicamente autosufficiente, ad ottenere dall’altro coniuge un contributo al mantenimento del figlio”. (Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 8 settembre 2014, n. 18869, in news.avvocatoandreani.it).

Ne discende, dunque, che il genitore convivente può legittimamente agire nei confronti del genitore obbligato che ometta di corrispondere a suo favore l’assegno di mantenimento per il figlio.

Va tuttavia precisato che tale legittimazione processuale del genitore convivente sussiste unicamente in caso di inerzia del figlio, che è effettivamente l’unico avente diritto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento.

Sulla base dell’orientamento giurisprudenziale si può dedurre che vi sia una legittimazione concorrente tra madre e figlio maggiorenne con lei convivente.

Nel secondo caso (figlio non più convivente), invece, dalle pronunce più recenti in materia sembra emergere un diverso orientamento secondo cui è unicamente il figlio maggiorenne non autosufficiente e non più convivente con l’altro genitore ad essere legittimato ad agire in giudizio per ottenere il mantenimento dal genitore obbligato.

Il genitore non convivente non sembra dunque potersi più attivare processualmente nell’inerzia del figlio maggiorenne non convivente, dato che sarà solo quest’ultimo a poter richiedere al genitore obbligato di versare direttamente a lui stesso, e non più all’altro genitore, quanto dovuto per il proprio mantenimento, e questo anche nel caso di inadempimento rispetto ad un provvedimento che regolava l’obbligo di versamento a favore dell’altro genitore (Cass. civ., sez. I, 11 novembre 2013, n. 25300, in www.primogrado.com).

Dott.ssa Ilaria Amato

 

 

 

 

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