La risoluzione del contratto di cessione di azienda con patto di riservato dominio

Si vuole delineare la disciplina prevista per la risoluzione di un contratto di cessione di ramo di azienda con patto di riservato dominio.

Tale negozio giuridico si conforma come una tipica ipotesi di vendita obbligatoria in cui l’effetto traslativo si realizza in un momento successivo a quello della conclusione del contratto, mentre si realizzano subito gli effetti obbligatori. L’obbligazione, consistente nella consegna dell’azienda, avviene, quindi, prima del passaggio della proprietà, la quale è trasmessa all’acquirente solo all’integrale pagamento del prezzo, mentre i rischi sono assunti dal medesimo sin dal momento della consegna del bene.

Tale possibilità è prevista dal nostro ordinamento dall’art. 1523 c.c., il quale in tema di passaggio della proprietà e dei rischi dispone che “nella vendita a rate con riserva della proprietà, il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell’ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna”.

Con particolare riguardo all’ipotesi di cessione di ramo d’azienda, sovente tale strumento viene utilizzato al fine di prevedere un’apposita forma di garanzia per il cedente, affinché sia assicurata la corresponsione del prezzo anche dopo la stipula del contratto di cessione.

Preme precisare che in tale particolare circostanza, come evidenziato dall’Agenzia nella Risoluzione n. 91/E/2016, il trasferimento “civile” e “fiscale” del bene interviene in momenti diversi.

Ai sensi del citato art. 1523, infatti, la rilevanza civilistica della cessione coincide con il momento di pagamento dell’ultima rata del prezzo.

Fiscalmente, invece, come prescritto dell’articolo 109, comma 2, DPR n 917/86, “occorre fare riferimento al momento della conclusione del negozio (e non al verificarsi dell’effetto traslativo, differito a mero scopo di garanzia)”: di conseguenza rileva il momento di stipula del contratto di cessione.

Ciò coerentemente con quanto previsto, in materia di contabilizzazione della cessione con riserva di proprietà, dai Principi contabili OIC n. 13 (rimanenze), n. 16 (immobilizzazioni materiali) e n. 19 (debiti). Principi per i quali rileva, con conseguente iscrizione in bilancio dei beni da parte dell’acquirente, il momento in cui lo stesso assume i relativi rischi ed oneri.

L’irrilevanza, ai fini fiscali, della riserva di proprietà è stata prevista al fine di “porre un freno a possibili iniziative dei contribuenti (connotate da evidenti profili di elusività) che, mediante l’apposizione della clausola … intendano rilevare il componente positivo di reddito emergente dall’operazione solo al momento del successivo trasferimento formale della proprietà stessa” (Risoluzione Agenzia delle Entrate N. 91/E/2016, in www.fiscoetasse.com)

Detta irrilevanza è peraltro sancita, anche ai fini IVA / imposta di registro, rispettivamente:

- dall’articolo 2, DPR n. 633/72, in base al quale le vendite con riserva di proprietà sono equiparate alle cessioni di beni;

- dall’articolo 27, comma 3, DPR n. 131/86, che esclude le vendite con riserva di proprietà dall’ambito degli atti sottoposti a condizione sospensiva.

Accennati brevemente la natura giuridica, la funzionalità ed il momento di perfezionamento di tale negozio giuridico, occorre soffermarsi sulla disciplina prevista per la risoluzione contrattuale del medesimo a seguito di inadempimento da parte dell’acquirente.

Deve essere evidenziato che, ai sensi dell’art. 1525, c.c. “nonostante patto contrario, il mancato pagamento di una sola rata, che non superi l’ottava parte del prezzo, non dà luogo alla risoluzione del contratto, e il compratore conserva il beneficio del termine relativamente alle rate successive

Pertanto il mancato pagamento di una sola rata, che non superi l’ottava parte del prezzo, NON dà luogo alla risoluzione del contratto ed il compratore conserva il beneficio del termine relativamente alle rate successive.

Giova precisare, infatti, che ai sensi dell’art. 1455 c.c., requisito fondamentale affinchè il rimedio della risoluzione possa essere adoperato è l’importanza dell’inadempimento, atteso che, non ogni inadempimento può dar luogo alla risoluzione contrattuale, prevalendo, nelle finalità del legislatore, l’esigenza di conservazione del contratto ed in generale del rapporto giuridico da esso regolato.

Nella disciplina della vendita con riserva di proprietà, “costituisce applicazione speciale del principio generale sancito all’art. 1455 c.c., la previsione contenuta nell’art. 1525 c.c., che considera rilevante per la risoluzione del contratto in esame, il mancato pagamento di una somma che superi l’ottava parte del prezzo convenuto” (Trib. Roma Sent. n. 1588/2017, in www.giurisprudenzadelleimprese.it).

Solo in caso di mancato pagamento di due rate o di una sola rata di importo superiore all’ottavo del prezzo complessivo, quindi, SI POTRA’ ottenere la risoluzione immediata del contratto.

Con particolare riguardo, poi, al profilo risarcitorio, l’art. 1526, c.c. prevede che “il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l'uso della cosa, oltre il risarcimento del danno”, avendo cura di precisare che “qualora si sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d'indennità, il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l'indennità convenuta (reductio ad equitatem)”.

La giurisprudenza è univoca e granitica nell’affermare che “sotto il profilo risarcitorio, la risoluzione del contratto di compravendita con riserva di proprietà per inadempimento dell'acquirente attribuisce al venditore, a norma dell'art. 1526 comma 1 c.c., il diritto di esigere dalla controparte "un equo compenso" per l'uso della cosa, oltre che il risarcimento dell'ulteriore danno subito” (Trib. Roma Sent. n. 1588/2017, in www.giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano Sent. n. 8599/2018, in www.giurisprudenzadelleimprese.it).

Qualora le parti si addebitino reciproci inadempimenti, proponendo vicendevolmente domande contrapposte oppure quando una parte si limiti a contrastare la domanda di risoluzione o adempimento, giustificando la propria inadempienza con l’inadempienza dell’altro contraente, il Giudice deve procedere a una valutazione unitaria e comparativa dei rispettivi inadempimenti e verificare quale di tali condotte, in un rapporto di dipendenza e proporzionalità, nel quadro della funzione economico-sociale del contratto, sia prevalente ed abbia alterato il nesso di sinallagmaticità che lega le obbligazioni assunte con il contratto, non essendo consentita una valutazione frazionata di ciascuna domanda.

Alla luce di tale principio è compito del giudice, pertanto, verificare se vi siano stati comportamenti colpevoli delle parti e, eventualmente, quale sia il comportamento colpevole prevalente che abbia modificato l’equilibrio tra le reciproche obbligazioni, dando causa al giustificato inadempimento della controparte.

Nella comparazione delle condotte delle parti, qualora risulti che sussistano le inadempienze di una sola delle parti, il giudice deve verificare se i descritti inadempimenti della convenuta rivestano il requisito dell’importanza di cui all’art. 1455 c.c.

Emersa la gravità delle inadempienze di una parte, “il contratto di cessione d’azienda inter partes viene pertanto risolto, con conseguente insorgenza degli obblighi restitutori, essendo venuta meno la causa adquirendi. Tuttavia, può accadere che l’azienda debba ritenersi perita, con la conseguenza che essa non è più restituibile in natura. Detta circostanza comporta l’applicazione delle disposizioni generali in materia di pagamento dell’indebito di cui agli art. 2033 e ss. c.c., sicché, ove si verta nel caso di restituzione di una cosa determinata della quale sia impossibile la riconsegna, l’obbligo dell’ “accipiens” risulta disciplinato dall’art. 2037 c.c.; sicché, ove sia in malafede nel ricevere o trattenere il bene, è tenuto a corrispondere il controvalore, mentre nell’opposta situazione di buona fede è obbligato nei soli limiti del suo arricchimento”(C. Pagnotta, “Perimento di azienda oggetto di cessione: risoluzione del contratto e obblighi restitutori, nota a Trib. Milano, sent. n. 10850/2016, in www.giurisprudenzadelleimprese.it”.

Infine, in qualsiasi caso in cui il cedente non riesca ad ottenere la restituzione del bene, può attivare un provvedimento d’urgenza ex art. 700, c.p.c.

Dott. Alessandro Maggi

Trainee Lawyer (Qualified)

 

 

 

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